di Federico Cirigliano
POLITICA, MORTE ANDREOTTI MINUTO DI SILENZIO - Sono stati celebrati a Roma, in San Giovanni dei Fiorentini, i funerali di Giulio Andreotti, decano della politica italiana. Presenza attiva nelle stanze del potere fin dalla nascita stessa della Repubblica. Gran burattinaio delle vicende di oltre mezzo secolo di storia italiana. Figura tanto discussa quanto controversa.
Senatore a vita, membro dell’Assemblea Costituente, più volte Ministro e in ben sette occasioni Presidente del Consiglio: la decadenza dall’ultimo incarico nel giugno del 1992, a cavallo fra le stragi di Capaci e Via D’Amelio. Ugualmente protagonista negli anni Settanta; a pochi giorni dall’insediamento del suo quarto Governo, il rapimento di Aldo Moro.
Gli attriti col generale Dalla Chiesa circa le contaminazioni mafiose della corrente andreottiana della DC in Sicilia. I rapporti confidenziali con Licio Gelli, capo della P2, e il coinvolgimento indiretto nel dramma dei desaparecidos argentini. La distribuzione capillare di esponenti della loggia massonica ai vertici dei servizi segreti nel triennio ’76-’79. Il presunto suicidio di Calvi e l’avvelenamento del “protetto” Sindona, mandante dell’omicidio Ambrosoli. La morte in carcere di Gaspare Pisciotta, mentre Andreotti era agli Interni nel primo esecutivo Fanfani, come una pietra tombale sulle possibili rivelazioni riguardanti l’assassinio di Salvatore Giuliano e il massacro di Portella della Ginestra. La sentenza di appello che conferma l’accusa, caduta per prescrizione, di associazione per delinquere e comprovata collaborazione con esponenti di spicco di Cosa Nostra almeno fino alla primavera del 1980. Il caso Pecorelli. Eccetera, eccetera, eccetera.
Un minuto di silenzio? Ai posteri l’ardua sentenza, se proprio i contemporanei non riescono a svestire i panni (comodi) di Ponzio Pilato.
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